Replying to Pavese - La luna e i falò

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  1. Posted 4/3/2011, 17:19
    La luna e i falò – Cesare Pavese


    1. Individuare le caratteristiche della voce.
    a. Ci sono delle anticipazioni?
    Gli eventi narrati non seguono l’ordine cronologico, ma sono descritti nel momento in cui tornano alla mente del narratore. La vicenda è narrata dal protagonista quando è adulto, che tramite flashback ci racconta gli eventi di quando era bambino. Le poche anticipazioni che sono presenti non sono mai molto esplicite: mentre il protagonista narra gli episodi che gli sono accaduti da bambino, talvolta preannuncia ciò che gli capiterà da grande.

    b. Ci sono degli espliciti giudizi su personaggi e vicende?
    Ne “La luna e i falò” vi è soprattutto un racconto di fatti, ma vi sono talvolta delle frasi sentenza. “Di tutto quanto che cosa resta? I ragazzi, le donne, il mondo, non sono mica cambiati, eppure la vita è la stessa, e non sanno che un giorno si guarderanno in giro e anche per loro sarà tutto passato”. In particolare il falegname Nuto con le sue ammonizioni appare come un testimone saggio; egli è colui che conosce le ingiustizie del mondo e sa che il mondo può cambiare. Pavese cerca di scrivere dalla parte dei protagonisti e di assumere il loro punto di vista e il loro linguaggio: “Irene sembrava quelle freddoline che vengono nei prati dopo la vendemmia”.

    c. C’è il ricorso al discorso indiretto libero?
    Il discorso indiretto libero è molto usato. L’autore passa con disinvoltura dal discorso indiretto al discorso diretto e alla narrazione diretta senza virgolette. Usa in particolare quest’ultima forma per le riflessioni del narratore, che talvolta sembrano quelle dell’autore. “Versai un’altra tazza al mio amico e gli chiesi quando tornava a Bubbio. – Anche domani, - disse lui, - se potessi. Quella notte andai a fumare una sigaretta sull’erba. Capii nel buio che quelle stelle non erano le mie. Valeva la pena esser venuto al mondo? Dove potevo ancora andare? Buttarmi dal molo?”

    d. Distinguere i momenti della narrazione in cui Anguilla è io narrante da quando è io narrato.
    Anguilla è l’io narrante quando da grande torna in paese, infatti è lui che racconta i fatti da protagonista. È invece io narrato nell’infanzia, perché descrive le sue vicende a posteriori; la memoria di quello che gli è successo da piccolo gli permette di riflettere sugli avvenimenti passati e di raccontarli con maggiore consapevolezza. L’uso continuo della prima persona è comunque un elemento forte che rende unitaria la struttura di tutto il racconto.

    2. Breve biografia di Cesare Pavese
    Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, paesino delle Langhe in provincia di Cuneo. Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino, anche se il giovane scrittore rimpiangerà sempre con malinconia i luoghi e i paesaggi del suo paese. Poco dopo essere arrivati nella città piemontese il padre muore; questo episodio inciderà molto sull'indole del ragazzo, già di per sé scontroso, timido e introverso. La madre, che aveva anch’essa subito un duro contraccolpo per la perdita del marito, si rifugia nel suo dolore e si irrigidisce nei confronti del figlio, cominciando a manifestare freddezza e riserbo ed attuando un sistema educativo più consono ad un padre "vecchio stampo" che ad una madre prodiga di affetto.
    Un aspetto inquietante della personalità del giovane Pavese, che si ricava da quasi tutte le lettere del periodo liceale, è la sua già ben delineata "vocazione" al suicidio, quella che lui stesso chiamerà il "vizio assurdo". Durante questi anni Cesare Pavese prende anche parte ad alcune iniziative politiche a cui aderisce con riluttanza e resistenza, assorbito com'è da problematiche letterarie. Successivamente si iscrive all'Università nella Facoltà di Lettere. Mettendo a frutto i suoi studi di letteratura inglese, dopo la laurea si dedica a un'intensa attività di traduzioni di scrittori americani.
    Nel 1931 Pavese perde la madre, in un periodo già pieno di difficoltà. Lo scrittore non è iscritto al partito fascista e la sua condizione lavorativa è molto precaria, riuscendo solo saltuariamente a insegnare in istituti scolastici pubblici e privati. Pavese viene anche condannato al confino per aver tentato di proteggere una donna iscritta al partito comunista; passa un anno a Brancaleone Calabro, dove inizia a scrivere il diario "Il mestiere di vivere".
    Tornato a Torino pubblica la sua prima raccolta di versi, "Lavorare stanca" (1936), quasi ignorata dalla critica; continua però a tradurre scrittori inglesi e americani e collabora attivamente con la casa editrice Einaudi.
    Nel periodo compreso tra il 1936 e il 1949 la sua produzione letteraria è ricchissima. Durante la guerra si nasconde a casa della sorella Maria, a Monferrato, il cui ricordo è descritto ne "La casa in collina". Il primo tentativo di suicidio avviene al suo ritorno in Piemonte, quando scopre che la donna di cui era innamorato nel frattempo si era sposata.
    Alla fine della guerra si iscrive al PCI e pubblica sull'Unità "I dialoghi col compagno" (1945); nel 1950 pubblica "La luna e i falò", vincendo nello stesso anno il Premio Strega con "La bella estate". Il 27 agosto 1950, in una camera d'albergo a Torino, Cesare Pavese, a soli 42 anni, si toglie la vita. Prefigurando il clamore che la sua morte avrebbe suscitato, lascia scritto a penna sulla prima pagina di una copia de "I dialoghi con Leucò": - Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.-

    3. Tempi
    a. Nel romanzo c’è una precisa distinzione tra passato e presente o le due esperienze temporali sono intrecciate?
    Il romanzo è montato come un continuo andirivieni tra il presente e il passato. Memoria e realtà si saldano tra loro soprattutto sul piano simbolico. Il protagonista torna da lontano per ritrovare la situazione invariata: “Stessi rumori, stesso vino, stesse facce di una volta. La stessa pianta di rosmarino sull’angolo della casa”. Ed effettivamente la trova: “era strano come tutto fosse cambiato eppure uguale; tutto aveva quell’odore, quel gusto, quel colore d’allora”. Questa ricerca del passato lo rassicura e gli dà gioia: “Potevo spiegare a qualcuno che quel che cercavo era soltanto di vedere qualcosa che avevo già visto?”. È la ricerca delle proprie radici che dà un senso alla vita presente.

    b. Quali piani temporali si possono individuare?
    La narrazione non procede in modo lineare ma si rifà a tre distinti piani temporali: la giovinezza e l'adolescenza del protagonista, il periodo da lui trascorso negli Stati Uniti e la sua vacanza nelle terre sulle quali era cresciuto. Il continuo confronto temporale che porta al rapido passaggio dal passato remoto al presente, dal presente al passato prossimo e così via, costituisce la struttura narrativa del libro.

    4. Luoghi
    a. In quali luoghi si svolgono le vicende?
    Il libro è tutto ambientato nella zona delle Langhe, nelle terre natali dell’autore. In modo insolito vengono descritti solo la campagna e i paesi; la città appare solo in contrapposizione ad essi. Nella descrizione dei luoghi vi sono momenti di intenso lirismo e di affettuosa contemplazione: “i paesi dov’era stato li avevamo intorno a noi, di giorno chiari e boscosi sotto il sole, di notte nidi di stelle nel cielo nero”.
    La campagna e i paesi assumono dei tratti quasi impressionisti: “dov’eravamo, dietro la vigna, c’era ancora dell’erba, la conca fresca della capra e la collina continuava sul nostro capo”. “La terra modellata dalla dura fatica dell’uomo è raffigurata con tale amorosa precisione, che parrebbe, col libro alla mano, di potersi indirizzare tra quelle coste di vigna”. (Piero Jahier).
    Il principale luogo descritto è il paese dove è nato e cresciuto il protagonista, nonché Pavese stesso. È il suo paese, sono le sue terre: “Il paese è molto in su nella valle, l’acqua del Belbo passa davanti alla chiesa mezz’ora prima di allargarsi sotto le mie colline”.
    Nel territorio possono essere individuate più zone: quella del salto dove si trova la casa di Nuto, quella della cascina della Mora lì vicino, lo stradone che porta al salto, la costa e il paese stesso. È un ritorno nostalgico alle proprie origini, quello descritto ne “La luna e i falò”: “Il poggiolo dà sulla piazza e la piazza era un finimondo, ma noi guardavamo di là dai tetti le vigne bianche sotto la luna”.

    b. C’è contrapposizione tra campagna e città?
    Campagna e città sono due luoghi completamente diversi e opposti. La campagna è un posto arcaico, povero e chiuso. La città un luogo ricco, affascinante e aperto al cambiamento; essa è presa come punto di riferimento ed è la meta più ambita di ogni uomo di campagna.
    Per un uomo che non ha storia come Anguilla, però, la campagna della propria infanzia è l’unico luogo dove si possono affondare le proprie radici perché la storia non è riuscita a mutarla. Il mondo rurale, i luoghi della campagna, sono visti infatti come il sedimento di un passato sempre uguale a se stesso, estraneo al movimento della storia. La campagna natia appare dunque come il luogo delle esperienze immutabili, ciò che resiste sotto lo sfaldarsi delle esperienze quotidiane.

    c. C’è differenza tra il mondo tradizionale, arcaico della campagna e quello tumultuoso della “nuova” America?
    La tranquillità della campagna, seppur bella, è considerata una cosa negativa dai paesani. È vista come una specie di prigione, un luogo chiuso, povero, privo di possibilità di cambiamento. Al contrario le città americane, con il loro dinamismo, offrono una possibilità a tutti. Anche Anguilla sperava finalmente di diventare qualcuno in America, di farsi uomo senza dover render conto della propria infanzia. Il mito americano, l’adorazione verso questo Paese che provava l’autore, traspira in molti tratti del romanzo e soprattutto nel suo protagonista che ha avuto la possibilità di arricchirsi negli Stati Uniti. In realtà Pavese si rende conto che non basta cambiare città per rifarsi una vita e ricominciare da zero: Anguilla si accorge dopo poco tempo che è solo una goccia in un mare e che nessuno bada a lui. Sceglie dunque di tornare in Italia e di scappare da quel mondo che gli pareva estraneo. “E si è fatto uomo emigrando negli Stati Uniti, dove il presente ha meno radici, dove ognuno è di passaggio e non ha da render conto del suo nome. Ora, tornato al mondo immobile delle sue campagne vuole conoscere l’ultima sostanza di quelle immagini che sono l’unica realtà di se stesso”. (Italo Calvino)

    d. Quali elementi caratterizzano le colline?
    Le colline sono descritte con pochi elementi essenziali del paesaggio, sempre ricorrenti: gli alberi, le vigne, i ruscelli. Sono quasi pennellate di un quadro impressionista fatto di chiaroscuri: “Questi discorsi li facevamo sullo stradone, o alla sua finestra bevendo un bicchiere, e sotto avevamo la piana del Belbo, le albere che segnavano quel filo d’acqua, e davanti la grossa collina di Gaminella, tutta vigne e macchie di rive”.
    Talvolta le colline sono descritte come somiglianti a una donna, e allora diventano un simbolo, un luogo mitico: “sulle grandi schiene di Gaminella e del Salto, sulle colline più lontane oltre Canelli, fin lassù non c’ero mai potuto salire”. Come dice lo stesso Pavese “salire sulla vetta è un modo di sfuggire alla storia, di tornare davanti all’archetipo”.

    5. Quale funzione assume l’infanzia nel romanzo?
    a. L’infanzia di Anguilla
    L'uomo ricorda la propria infanzia come un periodo dolce e tenero, durante il quale sono state compiute le prime esperienze: il bambino cancella i brutti ricordi ed esalta quelli belli, che da adulto ricorderà sempre con una punta di tenerezza. Quei ricordi lo accompagneranno per tutta la vita, e lo guideranno nelle piccole avventure e disavventure di ogni giorno. Nelle pagine del libro emerge dunque forte il tema del mito legato all'infanzia, su cui Pavese aveva condotto alcuni studi, rifacendosi alla filosofia di Gian Battista Vico. L'infanzia è l'età in cui si creano i miti, fatti avvenuti e vissuti inconsapevolmente che nel tempo si riempiono di significati; quando ci si rende conto di ciò, l’infanzia è già passata. Pavese è convinto che la vita ci sradichi dai luoghi e dai miti dell'infanzia, da ciò inevitabilmente deriva la solitudine e la voglia di tornare.

    b. L’infanzia di Cinto
    Anguilla ha molto a cuore Cinto, perché ne capisce le sofferenze, in quanto anche lui le ha vissute a suo tempo. Con lui il protagonista ha un rapporto speciale di complicità e di affetto, soprattutto perché rivede nel ragazzo se stesso. Per esempio, Cinto rimane senza una casa e una famiglia e questo Anguilla l’ha vissuto. Hanno in comune anche la povertà e un probabile futuro come servitori, che per il protagonista rimangono solo un ricordo. Tuttavia, a volte Anguilla lo invidia, perché avrebbe dato qualunque cosa per vedere il mondo dagli occhi del ragazzo, quando “Canelli sembrava tutto il mondo”.
    Il ragazzino è emarginato e tenuto a distanza per la sua malformazione fisica e anche questo, indirettamente, li accomuna, poiché l’uomo era canzonato per il suo essere “bastardo”. Il fatto che il protagonista del romanzo, che in buona parte si identifica con l’autore, si definisca così ha un significato profondo: “bastardo” sta per estraneo e soprattutto sta per un uomo che ha perso il senso della propria origine. Quest’uomo è in realtà Pavese stesso, che pochi mesi dopo si toglierà la vita.

    6. Qual è il valore “oggettivo” del falò e quale quello “simbolico”?
    Nel testo vi sono due tipi di falò: quelli dell’infanzia, che venivano accesi di notte durante le feste contadine, e quelli della maturità che distruggono la casa di Valino e il corpo di Santa. I primi riflettendosi nel cielo rappresentavano per il bambino un momento magico e di scoperta; essi erano anche il simbolo della fertilità e dell’abbondanza dei raccolti. In contrapposizione l’incendio della casa del Valino è l’atto estremo della disperazione di quest’uomo che cerca sfogo ai propri mali e ai propri tormenti. Un altro falò di sofferenza è quello in cui brucia il corpo morto di Santa. È Nuto a raccontare con dispiacere la storia di questa ragazza che, combattendo un po’ per i partigiani e un po’ per i fascisti, finì per essere odiata da entrambe le parti. Il falò in questo caso è un fatto amaro, ma inevitabile.
    Sul piano simbolico ai falò dell’infanzia che rappresentano il mito della gioia e della festa si contrappongono altri falò che comportano per il protagonista la perdita delle illusioni e la decisione di lasciare il paese. Infatti la casa della sua infanzia è bruciata dallo stesso falò che nei suoi ricordi illuminava le notti estive e rappresentava un grande momento di speranza nel futuro. Anguilla ora ha completamente perso le sue radici, non ha più nulla in comune con quel paese, è uno sradicato.

    7. Le esperienze della guerra e dell’immediato dopoguerra quali connotazioni ideologiche presentano?
    Il racconto venne scritto nel periodo dell' immediato dopoguerra, quando gli echi della lotta partigiana erano ancora ben vivi nell'intero paese e soprattutto nei luoghi descritti nel romanzo. L’autore vede la guerra da una posizione antifascista e mette in risalto la lotta partigiana. Egli tuttavia non riesce a essere un militante pratico e pone a confronto il pavido Anguilla, cioè se stesso, con Nuto, l'artigiano comunista che aveva osato combattere.
    Pavese assegna dunque alla guerra un ruolo estremamente negativo e in contrasto con l'ideologia alla quale aderisce. I morti non sono esaltati per le loro gesta eroiche, ma vengono compianti in quanto sono soltanto vittime della guerra.

    8. Società
    a. Quali classi sociali vengono rappresentate nel romanzo e che rapporto c’è tra esse?
    Vengono messe a confronto la società dei ricchi e quella dei poveri. Da un lato si trovano persone come Silvia e Irene, che trattano Anguilla come un giocattolo, dall’altro la gente di campagna, che pure se non se lo può permettere, non rinuncia mai ad aprire una bottiglia di vino per un amico.

    b. Quando Anguilla ritorna al suo paese le condizioni sociali sono in qualche modo mutate?
    Anguilla ritorna al suo paese arricchito e ben vestito, ma si vergogna della sua posizione agiata, inadatta alla povertà dei suoi amici. La situazione sociale del paese infatti non era affatto cambiata: la maggior parte delle persone non potevano permettersi neanche le scarpe. Anche in questo caso si apre sempre di più una spaccatura tra la realtà come Anguilla la ricordava e la realtà come Anguilla effettivamente la ritrova.

    9. Procedere ad un’analisi dei seguenti personaggi.
    a. Anguilla
    Nel protagonista, è chiaro fin dalle prime righe il risentimento per la sua esistenza da “bastardo”, priva di origini, di veri legami che lo possano unire a dei luoghi. È evidente il tema della ricerca di un’identità chiara e precisa di cui ogni individuo ha bisogno per vivere serenamente. Comunque, lui non troverà mai questa identità, anche se si accorgerà di essere molto legato al paese in cui ha trascorso l’adolescenza. Per accorgersi di tutto ciò ha dovuto viaggiare a lungo e allontanarsi enormemente da quei luoghi. Ritornando si rende però conto che anche se molte cose sono cambiate, le persone sono sempre uguali, sempre rozze e miserabili. Durante la sua permanenza egli incontra Cinto, che gli ricorda se stesso da bambino e ripensa agli avvenimenti più importanti accadutigli durante l'infanzia e l'adolescenza e alle persone che più hanno influenzato la sua vita. Anguilla è cambiato molto e la sua situazione si è capovolta: da povero ragazzo alle dipendenze di altri si trova ad essere maturato e soprattutto ricco e abbastanza conosciuto. L’ingenuo Anguilla, da giovane non avrebbe mai immaginato molte delle cose che sarebbero poi accadute e di questo si accorge solo ripensandoci e riflettendoci, una volta adulto e maturato. E allora proietta se stesso da giovane nella figura di Cinto e desidera cambiargli la vita, fargli vivere un’infanzia più simile alla sua, dargli una speranza per il futuro.

    b. Nuto.
    Nuto è l'amico d'infanzia del protagonista, la persona a cui sempre aveva voluto assomigliare, ma che mai riusciva ad eguagliare. Quando erano ragazzi, Nuto, che era maggiore di tre anni, era guardato da tutti con ammirazione, perché sapeva fischiare, suonava la chitarra e il clarino, parlava con i grandi, e “faceva l’occhiolino alle donne”. Per Anguilla, Nuto è sempre stato un punto di riferimento, lo è anche quando ritorna dall’America, perché è l’unica persona che ha ritrovato. Eppure egli scopre con meraviglia di averlo raggiunto, di non avere più nulla da invidiare all'amico, a colui che aveva considerato un modello di vita, perché anch'egli, come Nuto, aveva viaggiato, era stato a lungo lontano da casa, aveva imparato a confrontarsi con gli altri e a cavarsela da solo. Certamente anche Nuto è cambiato, è maturato. Ad esempio, si è sposato e dopo aver suonato per dieci anni il clarino a tutte le feste di paese, ha abbandonato la musica per dedicarsi al mestiere del padre, il falegname. Per Anguilla Nuto, non più un maestro, ma un amico alla pari, rimane comunque un suo punto di riferimento.
    Nuto è un personaggio molto complesso: per alcuni aspetti può essere accomunato con gli altri contadini, ad esempio è superstizioso e crede nell’influenza quasi magica che hanno la luna e i falò, per altri è molto diverso perché crede che il mondo possa cambiare. Per quanto riguarda la politica, Nuto è un socialista, e per questo motivo litiga spesso con il parroco del paese. Inoltre è un idealista, è convinto che “il mondo è mal fatto e che bisogna rifarlo”.


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